Germania. L’attacco mortale di un incrocio di husky a un bambino conferma che l’aggressività canina non è questione di razze, bensì di come il cane è stato allevato.
Poco tempo fa, a Cottbus un incrocio di husky ha buttato a terra la carrozzina con dentro un bambino di otto settimane; l’ha azzannato e il bambino è morto. Era il cane di famiglia e la sua razza non è tra quelle definite “da combattimento”. Diversamente da altri episodi simili avvenuti negli anni scorsi, l’husky non era stato addestrato dai suoi padroni per difendere o attaccare. Eppure, qui si dimostra quanto gli esperti sostengono da tempo: l’aggressività non dipende dalla razza; quel che conta è il corretto rapporto uomo-cane.
Benché la legge per la “lotta ai cani pericolosi” sia in vigore da dieci anni, le aggressioni a persone continuano a capitare. (…) Le cronache attribuiscono gli attacchi quasi sempre alle stesse razze -bull terrier, american staffordshire terrier, pitbull terrier- per citarne solo alcune. Sono razze che la legge classifica come pericolose; non solo loro, ma anche gli incroci tra queste razze, più alcune altre menzionate nelle specifiche normative regionali. Il termine è “cane da combattimento”. In effetti, se si guarda alla loro storia, la definizione ha un senso. Pit bull terrier, bull terrier e staffordshire terrier venivano addestrati proprio per i combattimenti. Nell’antica Roma, il mastino napoletano, che in alcuni Laender è inserito nell’elenco dei cani pericolosi, serviva per i combattimenti al Colosseo o nei campi di battaglia. Il dogo argentino, anche lui presente in alcune liste nere, in Sudamerica era addestrato a cacciare i felini. E tuttavia, non è la loro storia a renderli pericolosi.
(fonte http://www.aduc.it)